Si respira da subito l’aria del grande cinema cominciando a vedere The Hours. Un film diretto dal regista teatrale Stephen Daldry, tratto dall’omonimo romanzo (premio Pulitzer 1999) di Michael Cunningham, sceneggiato dal drammaturgo David Hare, musicato dal maestro del minimalismo americano Philip Glass, interpretato da uno straordinario cast di attori. The Hours inizia come un’avvolgente sinfonia visiva di volti, donne, amori, romanzi, emozioni. Una riflessione sull’appropriazione della vita altrui da parte degli scrittori.
La storia incrocia i destini di tre donne in altrettante differenti epoche e luoghi. Tutte e tre hanno in comune un libro: Mrs. Dalloway. La stessa, continua, insoddisfatta, ansia di vita e di fuga che assillava la sua protagonista. Virginia Woolf, nel 1923, a Richmond, fra i tormenti della depressione, quel romanzo lo scrive. Laura Brown, nel 1951, a Los Angeles, all’interno di un’insopportabile vita da perfetta mamma-casalinga americana, quel libro lo sta leggendo. Clarissa (nome della protagonista di Mrs. Dalloway) Vaughan, editrice affermata nella New York di oggi, quella storia la vive.
Come in Mrs. Dalloway (il cui primo titolo era proprio The Hours), la vicenda segue le protagoniste nel corso di una sola, cruciale, giornata. Con avvenimenti simili. Tutte pensano di colorare la loro vita con dei fiori e si preparano a una festa: Virginia riceve l’amata sorella e i suoi bambini; Laura entra in crisi nel cucinare una torta per festeggiare il compleanno del marito; Clarissa organizza un ricevimento per un premio letterario ricevuto da un suo amore di gioventù, un omosessuale ora malato di aids che vive con angoscia i suoi ultimi giorni. Amore e morte s’intrecciano nelle loro ore difficili, attraversate come un pensiero fisso dall’immagine del suicidio: la risposta allo stupore di trovarsi davanti a una vita che non si riconosce più, che non si è mai desiderata. Il conforto dell’affetto degli altri che non basta o è, al contrario, soffocante. L’esistenza trasformata in un buco nero. L’omosessualità declinata in tragedia.
Come spesso accade di fronte a storie del genere, Stephen Daldry pecca di ambizione nel voler tenere unite tutte le anime del film, con qualche forzatura e più di uno stanco cedimento nella retorica, in particolare nel segmento newyorkese. I dialoghi di David Hare finiscono con l’essere inutilmente invadenti, specialmente quando si hanno a disposizione attori del genere e una colonna sonora così abile nel tessere trame emotive. E qui sta l’altro problema di Stephen Daldry, talmente innamorato delle sofisticate musiche di Philip Glass, da sovrautilizzarle, disperdendone il fascino incantatorio.
Dove, però, The Hours davvero seduce, è nel cast di attori che alterna sulla scena. Tralasciando le ottime prove di comprimari da favola (John Really, Miranda Richardson, Ed Harris, Claire Danes), il film è dominato da tre grandi primedonne. Coraggiosa la prova di Nicole Kidman, che rinnega la sua bellezza per interpretare il complesso personaggio di Virginia Woolf. Truccata in maniera quasi irriconoscibile, una recitazione magneticamente giocata sulla sottrazione, la Kidman si aggira goffa e ingobbita, il naso lungo, i capelli in disordine, la tristezza sempre negli occhi e un viso incolore, divorato dalla depressione. Laura Brown è, invece, una deliziosa, bellissima, Julianne Moore (ormai abituata ai problemi di omosessualità anni Cinquanta, dopo Lontano dal paradiso), in una delle sue migliori prove di sempre. Capace di urlare con lo sguardo tutto un mondo di dolore represso, la disperazione muta e solitaria di un universo femminile senza possibilità di realizzazione. Meno convincente la stereotipata recitazione dell’icona Meryl Streep, penalizzata dalla sceneggiatura e dai suoi manierismi attoriali. Di fronte a un cast del genere, non può che rimanere il rimpianto per chi sceglie la versione doppiata.
Sgombrando il campo da ogni equivoco, The Hours non è un film su Virginia Woolf. Ma, della vita e delle pagine della scrittrice inglese, The Hours restituisce il tormentoso conflitto tra la forza dell’intelligenza e la fragilità delle emozioni, l’angoscia per la passione respinta, l’impulso a sondare desideri non traducibili, la scelta se decidere di rimanere vivi o morire per amore altrui. «Non si può trovare la pace sottraendosi alla vita», dice la Virginia Woolf del film. The Hours mette in scena la morte estetizzante di persone disperatamente alla ricerca di un’impossibile pienezza. Con una regia elegante, fredda, cerebrale, tutta al servizio delle sue donne.